232633_t5ma0emmeazerozj11Apparentemente, dopo la decisione del Comune di ieri, ciò che è stato messo in soffitta è un progetto immobiliare troppo ambizioso.
In realtà, credo, ci sia di più e per comprenderlo è necessaria una digressione storica e tecnica.
Alla fine degli anni ’90 con la decisione di realizzare il minimetrò, il Comune intende riproporre la formula di successo delle scale mobili alla Rocca Paolina.
In realtà questa possibilità non è già più nelle cose perché l’assetto complessivo della città è completamente cambiato.
Mentre alla fine degli anni ’70 le scale mobili ed i parcheggi intorno alle mura costituivano un modello di trasporto innovativo ma pur sempre per soddisfare l’antica necessità di accedere al centro della città, il minimetrò fa capolino quando è ormai necessario (re)suscitare quest’esigenza.
Quella decisione viene però comunque presa con la speranza che il minimetrò non solo possa trasportare persone ma contribuisca a generare domanda di mobilità e in questo modo salvaguardare la centralità dell’acropoli.
Sottesa a quella  decisione vi è la convinzione che il modello di intervento adottato con successo nel passato sia ancora valido, come lo sia l’obiettivo di fondo di quella strategia: la conservazione del centro storico.
Nell’arco di questi ultimi quindici anni, ciò che è accaduto ha contraddetto tutte le aspettative che erano legate a quel disegno originale.
La città nuova si è allargata a dismisura, il minimetrò non trasporta i passeggeri attesi ed il centro storico vive uno dei suoi momenti più difficili: aumenta l’incuria, chiudono le attività economiche, prosegue lo spopolamento ora anche della popolazione studentesca.
Unico segnale in controtendenza del fatto che ad un’azione corrisponda la retroazione attesa è stato il progetto del Mercato Coperto, presentato nel corso del 2006 da Nova Oberdan.
Ne sono diretto testimone, questo progetto non nasce dentro Palazzo dei Priori ma nel mondo dell’imprenditoria privata come un investimento immobiliare in un momento in cui il mercato tira come una locomotiva, la bolla, si dirà poi.
Questo progetto comportava che, dopo 30 anni, per la prima volta una funzione urbana importante, invece di spostarsi dal centro in periferia, sarebbe restata dov’è e incrementata di molto.
L’opportunità è creata certamente dall’esistenza di un sistema di trasporto realizzato con denaro pubblico e dalla proprietà pubblica delle aree ma questa scelta localizzativa, assolutamente in controtendenza, si regge sul capitale privato.
Un segnale importante, dunque, che avrebbe dovuto esser colto in tutto il suo valore sia concreto che simbolico con una molteplicità di implicazioni di cui verranno colte però solo quelle pregiudizialmente negative.
Un segnale da sostenere, da tenere da conto come una possibilità, forse l’ultima, di imprimere una direzione, un sussulto, ad una decadenza del centro storico che sembra oramai avere la strada segnata.
In realtà, da subito questo progetto riceve unanimi critiche dal mondo ambientalista e proprio da quelle associazioni che si occupano della tutela della vita del centro storico.
Una levata di scudi contro una parola, anzi due: centro commerciale.
Il Comune, dopo un iniziale sostegno all’iniziativa, ha sempre proceduto con grandissima cautela, determinando un iter di approvazione a prova di qualunque contestazione formale ma molto lento e farraginoso.
Poi è subentrata la crisi economica, lo sfilacciamento della compagine privata, la stanchezza e la sfiducia sino all’epilogo di questi ultimi giorni che non era scontato ma in larga parte atteso.
A chiudere, comunque, è il Comune e questo assume un significato simbolico.
Archiviata l’idea di un importante polo commerciale al Mercato Coperto ed archiviata la linea 2 del minimetrò, ad essere definitivamente messo in soffitta  è un modello di intervento, un intero orizzonte di trasformazione codificato nei lontani anni ’70.
Un modello imitato, spesso poco compreso in profondità, anche qui dove è stato messo a punto ed applicato con successo per molti anni.
Si chiude un ciclo e, con esso, un’epoca.

Massimo Ciuffini