200951612342034152Ecco il testo di Vittorio Sermonti ‘Cultura e Culture’ il cui contenuto ci riguarda tutti molto da vicino: interessa anche il Presidente degli Stati Uniti, molto attento alla questione multiculturale, al quale lo abbiamo infatti inviato.

Cultura, parola polisemica quant’altra, oggi si è fatta eccezionalmente equivoca…..
In quanto indica un sistema di valori, credenze, usi e rituali condiviso da una collettività più o meno omogenea, cultura è una categoria antropologica assolutamente refrattaria a valutazioni di merito [voglio dire: in quanto per cultura s’intenda un dato uso linguistico, un dato modo di vestire, di mangiare il pesce, di fare l’amore, di cantare, di star seduti, di pregare, di non pregare, ecc. ecc., non c’è per definizione una cultura qualitativamente migliore, una cultura più colta di un’altra: ci sono semplicemente culture diverse].
D’altra parte, scopro l’ombrello se dico che nel lessico corrente cultura indica uno schema di valore (elettivamente individuale) che computa quantità e qualità dei saperi padroneggiati da un singolo, da una singola classe, da una singola categoria [se dico «mio cugino Eugenio è più colto di me», «i dentisti sono più colti degli odontotecnici», tutti capiscono, secondo l’uso corrente, che cosa voglio dire].
(Insomma, in quanto parla francese, un francese — in accezione antropologica — non può dirsi più o meno colto di un kenyota che parla swahili; ma se il francese sa parlare dodici lingue e il kenyota non parla che swahili, diremo — nell’accezione corrente — che il francese è più colto del kenyota).

Tanto premesso, mi sembra che la situazione attuale crei una robusta confusione semantica tra le due accezioni, anzi, una doppia confusione incrociata. Oggi qualsiasi manifestazione (pardon! evento) testimoni — magari nel modo più futile e mercantile — delle abitudini indotte, dei vezzi, delle leggende metropolitane che la nostra società vive come autorappresentazione è promossa dalla ritualità «assessorile» al prestigio sociale — diciamo pure alla dignità «culturale» — che l’uso corrente assegna all’eccellenza delle manifestazioni umane: la più scema e ripetitiva delle canzoni, in quanto antropologicamente «cultura», va equiparata a Bach, anzi, in ragione dell’incidenza nel «sociale», lo subissa; il più banale degli SMS può farsi beffe di Emily Dickinson, i graffiti spray delle Stanze di Raffaello; ed è consentito imputare a chi eccepisca qualcosa in materia il reato infamante di «elitismo». A questo punto, la ricchezza polisemica della parola cultura si presta a un losco equivoco.
[Inevitabile, che il fenomeno abbia una apprezzabile incidenza sul piano educativo. Al proposito, mi permetterò di leggervi un capoverso di George Steiner:
«La semplificazione, il livellamento e l’annacquamento che prevalgono oggi nell’educazione, tranne in rarissimi casi privilegiati, sono criminali. Si tratta di disprezzo per le nostre capacità latenti. Le crociate contro la cosiddetta «cultura d’élite» nascondono una condiscendenza volgare: verso tutti coloro che vengono a priori giudicati incapaci di miglioramento. D’accordo: sia il pensiero sia l’amore pretendono troppo da noi. Ci umiliano. Ma l’umiliazione, persino la disperazione davanti alla difficoltà possono trovare l’illuminazione all’alba.»]

D’altra parte, in quanto applicato a culture altre (non so se esistano «culture canaglia», ma potrebbero), il concetto antropologicamente neutro di cultura si presta eccóme ai piaceri della graduatoria: graduatoria che, beninteso, vede alla sua cima noi, per elastico sia lo spettro del pronome «noi». Il parametro che legittima questo giudizio planetario sono i cosiddetti «diritti umani»: in forza dei quali, appunto, anche la neutralità antropologica della parola cultura deve prender partito, scegliere il suo campo. Fenomeno che certo ha le sue radici profonde nella legittima paura prodotta dai portatori di culture altre, soprattutto se armati: mi sembrerebbe idiota definirlo «razzismo», ma ritengo ragionevole prendere in considerazione il rischio di un «neo-colonialismo inerziale».
Milano, Triennale, 15.06.09

Ecco quanto abbiamo scritto al Presidente degli Stati Uniti, a cui sta molto a cuore la questione multiculturale; a lui abbiamo infatti inviato questo testo:
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images10Dear Mister President,
Thank you for having welcomed our blog. We are sending you the text of Vittorio Sermonti  about ‘Culture and cultures’ presented by himself at the Aspen Institute Italia convention, held in Milan on June 15, 2009.
Vittorio Sermonti is one of the greatest living Italian intellectuals.With his public readings of Dante’s Divine Comedy and Virgil’s Aeneid, he has given a precious gift to the people, commentating and reading two key works of Western culture to great numbers of Italians. We consider it a real honor to publish his text in our blog and we bring it to your attention.
Best regards and many greatings for your great job.

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